Il lavoro della Carlo Colla e Figli, una delle compagnie di teatro di figura piu importanti al mondo viene raccontato in Atelier Colla, il film documentario diretto da Pietro De Tilla, Guglielmo Trupia, Elvio Manuzzi in concorso alla seconda edizione di ViaEmiliaDocFest (www.viaemiliadocfest.tv).
Perché avete scelto di raccontare questa storia attraverso il documentario?
“Abbiamo utilizzato il linguaggio del documentario d’osservazione, senza ricostruzioni, interviste o voci fuori campo. Questa scelta aiuta lo spettatore ad immergersi davvero nel lavoro quotidiano della compagnia Carlo Colla e Figli, se avessimo fatto diversamente l’effetto non sarebbe stato lo stesso”.
Il mondo del web, la multimedialità e le nuove tecnologie influiscono sul vostro modo di creare film? E se sì, come?
“Sicuramente le nuove tecnologie hanno facilitato molto la realizzazione del nostro film. Per esempio per riprendere abbiamo usato macchine fotografiche digitali e un piccolo registratore audio, questo ci permetteva di essere il meno invadenti possibile e allo stesso tempo di avere un’altissima qualità d’immagine. Cose impensabili fino a pochi anni fa.
Anche per il montaggio siamo stati molto ‘leggeri’. Montavamo su portatili diversi in luoghi diversi a seconda delle nostre esigenze. Con la pubblicazione sul sito di ViaEmiliaDocFest il film unisce tre linguaggi diversi: cinema documentario, il teatro di figura e il linguaggio di internet. Più crossmediale di così…”
Credete che il web possa essere decisivo nella diffusione del cinema documentario?
“Assolutamente si. In Italia poi, dove il documentario viene così snobbato dalla televisione, pensiamo sia un mezzo indispensabile per mostrare a più persone possibili i tanti bei film prodotti da filmmakers più giovani e meno giovani. Inoltre permette di sperimentare nuovi linguaggio interattivi. Mi vengono in mente progetti come Interview Project di Lynch o Prison Valley”.
Tre cose per invogliare il pubblico a guardare il vostro doc e votarlo.
“In ‘Atelier Colla’ viene raccontata con empatia e rispetto la vita quotidiana di un gruppo di lavoro affiatato e fuori dal comune. Diviene ancora più evidente l’equivoco che vorrebbe questo genere teatrale come uno svago per la prima infanzia, e si disvela invece come sia un’arte subordinata a una disciplina rigida, che pervade la quotidianità del marionettista. La fotografia e le immagini sono sicuramente uno dei punti di forza del film”.