Francesca Capelli
16 gennaio 2009 di Redazione
Francesca Capelli

FRANCESCA CAPELLI Francesca Capelli è giornalista specializzata in temi scientifici. Dopo molti anni di lavoro in redazione (Reuter’s, Grazia, L’Unità, Newton), ha scelto la libera professione e ha iniziato l’attività di autrice per ragazzi, con libri di narrativa ed educational oltre che di traduttrice (tra i suoi ultimi lavori c’è la traduzione di Tata Matilda edito da San Paolo). Proprio in questi giorni è arrivato in libreria un suo nuovo lavoro pubblicato all’interno della collana Parole per Dirlo delle Edizioni San Paolo, Veruska non vuole fare la modella. Non si tratta solo di una storia ma di un progetto più ampio. «La “mia” Veruska – ha detto l’autrice – è un progetto che mi sta molto a cuore e ringrazio le edizioni San Paolo per la fiducia che mi hanno dato e l’amore con cui hanno seguito il libro. E’ una storia che ha “preteso” di essere raccontata. E’ la storia di una bambina simpatica e perfettamente normale che rifiuta il destino di tutte le donne della sua famiglia – diventare modelle – e preferisce dedicarsi ad altro, con più divertimento e meno sacrifici. Ma vallo a spiegare alla mamma che, non per niente, ha dato a lei e alla sorellina il nome di due modelle famose! Ci riuscirà con l’aiuto di due amici un po’ pasticcioni, ma geniali. Si parla tanto di anoressia con le adolescenti, quando ormai i giochi sono fatti. Io volevo arrivare prima, alle bambine di 8-9 anni, che già a quell’età sono bersaglio di messaggi nevrotici e contraddittori. E volevo farlo senza mai citare la parola anoressia, che crea ansia o addirittura fenomeni di emulazione. Il libro mi è particolarmente caro perché è il risultato di un lavoro di squadra. Cristiana Cerretti ha disegnato Veruska esattamente come io la immaginavo e Maria Teresa Zattoni, psicoterapeuta autrice della “chiave di lettura” per genitori in coda al libro, ha restituito con voce autorevole l’emozione che io – con gli strumenti che so maneggiare – ho tentato di mettere nel racconto.» Cosa significa oggi divulgare ai ragazzi temi legati all’ambiente, come il valore dell’acqua, il riciclo, etc? Credo che per farlo in modo efficace occorra uscire da quella che io chiamo l’ottica dell’arredo urbano, cioè il semplice fatto che buttare una cartaccia per terra “non sta bene”. Fare educazione ambientale non è insegnare “la buona educazione” (di per sé auspicabile), né trasmettere un’immagine stereotipata, favolistica e a antimodernista della natura, fatta di “animaletti del bosco” e altre dolci creature. Io credo che con i bambini dobbiamo essere onesti e questo significa trattarli COME PERSONE che hanno delle IDEE SUL MONDO. Significa quindi mostrare come i problemi della nostra società e del nostro tempo siano tutti correlati. Per esempio, mostrare che riciclare i rifiuti significa anche risparmiare acqua ed energia. Dire che le risorse idriche non vanno sprecate, ma anche che l’acqua è un bene comune, un diritto, e non una merce: questo apre importanti considerazioni sulla giustizia sociale e la solidarietà. I miei libri di educazione ambientale (che per quanto mi riguarda va di pari passo con l’educazione alla cittadinanza) contengono sempre un quiz, che aiuta i lettori a “fissare” in modo divertente i concetti più importanti, ma li abitua anche a un’impostazione critica, a capire che a volte le domande sono più importanti delle risposte. Al tempo stesso, rifiuto una visione idealistica secondo la quale i bambini, da soli, salveranno il mondo. Purtroppo non funziona così, perché i problemi ambientali hanno bisogno di risposte politiche e globali. Ma possiamo provare a rendere i bambini più consapevoli, perché crescano un po’ rompiscatole, ma anche migliori di quanto siamo noi. Come è nato il libro “Dove lo butto?”, “Amo l’acqua” e “Missione possibile”? Nascono tutti e tre da una sollecitazione dell’editore Giunti Progetti Educativi, che crede molto nella divulgazione così come l’ho appena descritta: lontana da stereotipi e sdolcinature, nei contenuti e nello stile. In particolare, “Missione Possibile” nasce su richiesta di Telethon, che lo distribuisce nelle scuole che ne fanno richiesta per spiegare, da una parte, che cosa fanno gli scienziati che si occupano di genetica e – dall’altra – il valore della solidarietà, quando i soldi pubblici non sono sufficienti a finanziare la ricerca sulle malattie ereditarie. Il lavoro di traduttrice quanto influisce o arricchisce il tuo essere scrittrice? E’ un dialogo continuo. Tradurre abitua alla disciplina, alla precisione, al rigore, alla testardaggine nel riuscire a trovare la parola o la frase giusta, per esprimere il senso e la connotazione delle parole dell’autore originale. Io traduco dal francese, inglese e spagnolo e ogni lingua è un mondo diverso, dal quale entrare e uscire con una certa elasticità. Tutto questo è un allenamento che migliora il lavoro di scrittrice. Ma a sua volta anche il mestiere di autrice arricchisce l’altro, con una maggiore dimestichezza nella scrittura, più spigliatezza nello stile, più sfumature… Insomma, credo che le due cose vadano insieme, o meglio io ho la fortuna di fare entrambe. Cerco di mettere la mia professionalità e creatività di autrice al servizio del testo che devo tradurre. A cura di Laura Ogna 16 gennaio 2009 FOR KIDS testata registrata presso il Tribunale di Milano N° registrazione 468 del 11/07/2006

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