È appassionante e divertente il nuovo romanzo per ragazzi di Susanna Tamaro, “Salta, Bart!”, appena pubblicato da Giunti (14 €) con le belle illustrazioni di Adriano Gon. Con una scrittura brillante la scrittrice triestina mette in scena una favola futuristica che ha per protagonista un ragazzino che vive solo, in una confortevole casa gestita dalla domotica e con contatti con i genitori, entrambi impegnatissimi con il lavoro, vissuti solo attraverso schermi touch. Niente bacio della buona notte, quello vero. Solo video messaggi e dichiarazioni di grande affetto. Bart, così si chiama il protagonista, non ha più neppure il morbido conforto del suo orso di peluche che gli è stato tolto perché rischioso ricettacolo di microbi. La sua vita è costantemente osservata è scandita da impegni che cancellano con un inesorabile colpo di spugna il tempo della libertà e della noia. Ha seguito corsi di cinese, arpa celtica, acquerello, cartapesta, clownerie, equilibrismo. Prevedibilità è il mantra delle sue giornate che scorrono senza inciampi e imprevisti. La vita di Bart è felicemente infelice, agiata ma vuota. Un libro che affronta molte tematiche importanti ma sempre con grande leggerezza. Un romanzo per ragazzi, che però non rinuncia a chiamare in causa gli adulti.
Come è nata l’idea di questo libro?
«Osservando la solitudine e la tristezza in cui vivono molti bambini adesso. Una solitudine molto diversa da quella di un tempo, perché confortevole, colmata di distrazioni e di beni. I bambini di oggi sono al centro di un’attenzione quasi ossessiva da parte dei genitori e degli adulti, ma in realtà la parte più profonda del loro essere viene raramente vista e coltivata.»
Bambini e tecnologia, è un tema di cui si dibatte spesso in questi tempi, il taglio interessante del romanzo è la connessione tra genitori e tecnologia usata non solo nella vita di tutti i giorni ma anche come strumento di controllo dei figli: una sorta di genitorialità a distanza.
«I benefici della tecnologia nella nostra vita sono innegabili, ma non si può non vedere che contengono anche un lato oscuro. Ormai abbiamo le App che ci dicono se abbiamo dormito abbastanza, cosa mangiare, cosa comprare, come se ormai fossimo estranei a noi stessi e ci fosse qualcun altro che, per il nostro bene, ci deve dirigere dall’esterno. È vero, il ruolo dei genitori di oggi è complicato, perché sono tempi complessi e travolti da continui cambiamenti. Bisognerebbe però che chi ha il compito di educare i bambini avesse sempre chiaro cos’è, nella realtà più profonda, l’essenza di un essere umano e di cosa abbia bisogno per crescere.»
Il tema delle relazioni gestite a distanza è molto forte: niente abbracci e carezze ma tanti videomessaggi. La tenerezza virtuale è un rischio che corre la generazione degli attuali genitori?
«Si, sicuramente. È un rischio molto grosso, quello di scambiare le parole per i gesti. Che basti ripetere “I love you” – come fa la madre di Bart nel mio libro – per assolvere il proprio dovere di genitori affettuosi. Noi siamo esseri a sangue caldo, il contatto fisico è fondamentale per la nostra specie. Soprattutto per una crescita equilibrata della persona.»
Si delinea nel romanzo una società ossessionata dal benessere, dalla comodità che lascia indietro i valori più importanti e il rispetto per il pianeta. È un monito al mondo adulto, non solo a chi è genitore?
«Sì. L’ossessione del benessere è un vicolo cieco, dal punto di vista umano e sociale, perché il benessere del singolo va spesso a scapito dell’interesse di molti. È scomparsa l’idea che la vita degli esseri umani debba sostenersi sulla convivialità, sulla vicinanza, sul sostegno reciproco. È una cultura che mitizza il narcisismo solipsista, e gli adulti ne sono i primi responsabili.»
Il tempo della noia sembra essere sparito dall’orizzonte dei bambini, incasellati in programmi fitti di esperienze educative. Come vede questa attitudine?
«Con molto angoscia. La maggior parte dei bambini che conosco corre forsennatamente da un impegno all’altro, come fossero dei piccoli manager. Questo attivismo ha sicuramente una doppia origine. Da un lato i genitori non sanno dove mettere i bambini durante le ore di lavoro, ma dall’altro, temono di non saper offrire loro tutte le possibilità di riuscita nella vita. E così li iperstimolano, nella speranza che diventino tutti dei numeri uno. Il che non è possibile. Questa ossessione del bambino perfetto, così come quella dei genitori perfetti, è una delle malattie del mondo contemporaneo.»
Le avventure fantastiche di Bart diventano un viaggio iniziatico di crescita, è interessante che questo accada proprio dentro la fantasia. Come mai questa scelta?
«Proprio perché vedo questo mondo irregimentato in fantasie preordinate dai media che rendono impossibile liberare le briglie della fantasia individuale. Eppure i bambini hanno un bisogno straordinario di vivere questa loro parte fantastica, hanno bisogno di annoiarsi, proprio per poter inventare mondi paralleli e renderli sempre più ricchi. Soltanto la fantasia può dare grande gioia e unicità al periodo dell’infanzia.»
A cura di Laura Ogna