Anna Turletti, nata nel 1974 a Pinerolo dove vive e ha insegnato, anche a seguito degli studi nell’ambito delle Scienze dell’Educazione, della Sociologia e della Formazione a distanza. Ha seguito la sua passione per la letteratura dell’infanzia, giungendo alla sua prima opera pubblicata con Edicolors Filastrocca del mondo. Il libro, che propone le filastrocche in 5 lingue, vuole da un lato ricordare ai nostri bambini l’importanza dell’ascoltare e del sognare ad occhi aperti, e dall’altro invitare tutti (figli, genitori, nonni) a creare nuove filastrocche per mettere alla prova la fantasia, mantenere viva e sviluppare la propria creatività e svolgere attività interattive.
Come mai la scelta di creare questo progetto multiculturale proprio attorno alla Filastrocca?
L’idea è stata quella di recuperare la tradizione orale di un’antica Filastrocca, di diffonderla nel mondo mediante la traduzione delle parole chiave in 4 lingue (inglese, francese, spagnolo e arabo) completandola con le illustrazioni. In questo modo si è voluto trasformare una tradizione locale in un libro di integrazione tra culture e popoli, grazie alle lingue.
Come si sono sposate le parole alle immagini, è stato un lavoro in tandem, di sinergia continua o le illustrazioni sono nate successivamente al testo?
Il testo è nato prima, anche perché si è basato su una filastrocca la cui origine si perde nella notte dei tempi. Dalla prima filastrocca, per elaborazioni successive, sono nate la seconda e la terza: il libro è infatti costituito da 3 filastrocche con la medesima forma, ma rime diverse.
Infine sono state create le tavole ad acquerello per illustrare le varie parole chiave delle strofe. Va comunque detto che il libro ha costituito un bell’esempio di sinergia di “famiglia” tra moglie (autrice) e marito (illustratore).
Oltre all’italiano le altre 4 lingue inserite come sono state scelte?
Le lingue sono state scelte in base alla loro diffusione nel mondo (l’inglese) e alle loro affinità culturali con la lingua italiana (francese e spagnolo).
Per quanto riguarda l’arabo, l’abbiamo inserito per la presenza di persone che lo parlano nel bacino del Mediterraneo e sul nostro territorio.
Abbiamo proprio affrontato e spiegato il perché di queste scelte nella cosiddetta “pausa 2” tra la seconda e terza filastrocca.
Per essere ancora più completi abbiamo anche aggiunto un simpatico “cameo” sul cinese (lingua più parlata al mondo, per l’elevato numero di abitanti della Cina).
All’interno del libro vi sono delle pagine “vuote” in cui il lettore è libero di riempirle e interpretarle in modo autonomo. Come mai questa scelta?
La scelta è stata fatta perché crediamo che l’interattività presente in certi libri favorisca la riflessione, la creatività e lo sviluppo del ragionamento del bambino.
In questo senso una pagina bianca stimola il lettore non solo a riempire lo spazio con immagini e colori, esprimendo le proprie emozioni ed opinioni, bensì anche con concetti di tipo logico e matematico: si pensi per esempio al carattere “0”, cioè lo “Zero” per rappresentare il “niente”, così come è stato fatto da parte di alcuni bambini nello spazio vuoto dove era riportata la dicitura “Non abbiamo disegnato niente…Disegna tu qualcosa!”.
In una serie di laboratori da noi svolti presso classi di scuole primarie sono emersi casi bellissimi di creatività e astrazione da parte degli allievi.
Quali riscontri ha avuto, fino ad ora, la proposta da parte degli educatori e dei lettori?
I riscontri sono stati positivi sia da parte di educatori (scolastici ed extrascolastici), sia da parte dei giovani lettori, che hanno accolto il testo e i disegni come un libro gioco e laboratorio, ma anche come un messaggio universale di pace.
Anche a livello di critici di settore abbiamo ricevuto pareri lusinghieri, che ci stimolano a creare nuove opere basate sulla multiculturalità.
Non sono mancate comunque voci “fuori dal coro” da parte di persone che non credono nell’apprendimento precoce delle lingue (l’arabo ha destato qualche dubbio in menti “conservatrici”) e nell’arricchimento portato dall’intercultura.
Intervista a cura di Laura Ogna.