Michel Ocelot
1 luglio 2007 di Redazione
Michel Ocelot

MICHEL OCELOT. Abbiamo incontrato il “papà” di Kirikù e poi del recente Asur e Asmar quando è venuto in Italia ospite del primo Festival Internazionale del Cinema d’Animazione CinqueNovanta organizzato dalla Pinac di Rezzato (Bs), Nato in Costa Azzurra, Michel Ocelot ha vissuto la sua infanzia in Guinea per poi tornare in Francia, ad Anger, all’età di 12 anni. Il tema della differenza lo conosce bene perché lo ha vissuto sulla sua pelle. All’incontrario, come ci spiega lui: «Ho passato i miei primi anni di vita nell’Africa nera, ero l’unico studente bianco e biondo tra bambini assolutamente neri all’interno di una piccola scuola comunale in Guinea. Ho ricordi magnifici di quel tempo che ho desiderato condividere con gli altri con il mio primo lungo metraggio Kirikù e la strega Karabà. In quegli anni trascorsi in Africa ho imparato che cristiani, protestanti, mussulmani, animisti, ebrei possono vivere accanto gli uni agli altri in totale serenità e questo mi ha profondamente segnato. Ma il destino ha voluto che fossi in grado di interpretare sia il ruolo dell’Occidente sia quello dell’immigrato: poiché da un lato sono francese a tutti gli effetti, dall’altro sono stato un immigrato brutalmente trapiantato da quella piccola scuola comunale in Africa per ritrovarmi in un enorme liceo-fabbrica in Francia, dove non c’era alcun legame affettivo tra i professori e gli allievi. In un certo senso è autobiografico il personaggio di Rospù, in Asur e Azmar, che critica ad ogni passo il paese in cui vive rimpiangendo la terra che ha lasciato. Quando sono arrivato in Francia vedevo solo i difetti rispetto alla Guinea. E mi sono accorto di quante sciocchezze si possono dire su un paese che non si conosce. Proprio per il desiderio di parlare ai bambini e agli adulti del rispetto delle diversità è nato questo mio ultimo film d’animazione. È un tema fondamentale oggi». Lei più volte ha detto che non ama la parola “tolleranza”, perché la trova riduttiva per definire il convivere di più culture. «Io credo che non ci sia bisogno della tolleranza per amare qualcosa di bello. Apparteniamo alla stessa razza e ci sono scambi continui tra le diverse culture, accade ora come è accaduto nel passato. Non ci deve essere bisogno di tollerare, ma semplicemente di amare. Azur e Asmar cercano di mostrare la vita come potrebbe essere: alla fine si può ballare tutti insieme attratti da ciò che ci manca e ci completa.» Esiste un modo per preparare i bambini fin da piccolissimi all’accoglienza della diversità? «I bambini, come gli adulti, hanno una prima reazione di rifiuto davanti al diverso, al nuovo ma poi in loro vince la curiosità, la voglia di capire, conoscere e sperimentare, così ogni differenza scompare e diventa anzi motivo di gioco e di scoperta che stimola a nuovi incontri. Alla fine ciò che noi adulti chiamiamo “integrazione”, per il bambino è una dimensione spontanea». Lei più volte ha detto che il suo linguaggio, quello in cui si sente più a suo agio è quello della fiaba, attraverso il quale riesce a trasmettere messaggi anche molto importanti e complessi ai più piccoli e non solo. «Fin da piccoli si può accompagnare i bambini alla scoperta di mondi lontani attraverso fiabe, immagini e cartoni animati che raccontano dell’Africa, del Sud America e dell’Oriente. I libri illustrati e i film d’animazione incuriosiscono per le ambientazioni ed i paesaggi diversi dai nostri ma al tempo stesso si rifanno a miti ed archetipi universali, dentro i quali i bambini si riconoscono. Nell’avventura di Azur e Asmar, ad esempio, si fondono l’immaginario fiabesco e visivo dell’Europa e di tutto il mondo arabo a questo si intreccia la storia di due bambini: Azur e Asmar, uno biondo con gli occhi azzurri, l’altro con occhi, capelli e pelle nera, che vengono cresciuti dalla stessa donna araba. Divisi dal padre di Azur, i due si incontreranno di nuovo “dall’altra parte del mare”, nel Maghreb, dove tornano a riconoscersi come fratelli, anche se dalla pelle diversa. È proprio attraverso le fiabe che si può comunicare pensieri profondi con naturalezza, evitando qualsiasi discorso teorico e astratto. Con la fiaba si entra nelle emozioni, a contatto con il cuore di ciascuno di noi. Grandi e piccoli.» Il film d’animazione Kirikù e la strega Karabà ha riscosso un successo straordinario, come è nata l’idea insolita di un eroe così piccolo e determinato? «Dietro questa idea ci sono tre ragioni. Una è artistica, l’animazione esiste da 70 anni, ma non ha mai riguardato l’Africa, per di più con un protagonista nero. La seconda è personale, come dicevo prima da piccolo vivevo in Guinea, andavo a scuola in quella che viene chiamata Africa nera, e di cui ho ricordi magnifici che volevo condividere con gli altri. Terzo, sono incappato in una storia tradizionale africana dall’ inizio folgorante, con un bimbo deciso, al punto di dire: “mamma per favore, mettimi al mondo”. Ho pensato fosse fantastico per i bambini, con una nascita e una contrapposizione con una strega. Poi c’era quella visione così naturale della maternità, della relazione col corpo che è molto africana e che desideravo riuscire a comunicare in un film.» Come è nato Asur e Azmar? «Uno dei temi che mi turba profondamente è l’ostilità sistematica e irrazionale tra tutti i tipi di società umane, e le ragioni pretestuose per le quali gli esseri umani si scontrano inutilmente mentre potrebbero convivere serenamente. Il primo tema di Azur e Asmar è vivere insieme in armonia.. Per questo nel film utilizzo due linguaggi – francese e arabo – il francese doppiato, quando richiesto, l’arabo che resta sempre tale. Per creare straniamento e il disagio dello straniero anche nello spettatore. Il secondo tema del film è la civiltà medievale islamica: una splendida, compassionevole civiltà aperta. Voglio trasmettere questo insegnamento agli occidentali e agli orientali, in modo che tutti possano usarlo e trarne godimento.» Ora sta lavorando ad un nuovo progetto? «Al momento ho l’ambientazione per un nuovo possibile film. Questa volta lo scenario sarà la città di Parigi agli inizi del XX secolo. Mi affascinano i costumi, gli abiti e i palazzi di quel periodo. Ma al momento non c’è ancora una storia, arriverà col tempo.» A cura di Laura Ogna luglio 2007 FOR KIDS Tutti i diritti riservati FOR KIDS testata registrata presso il Tribunale di Milano N° registrazione 468 del 11/07/2006

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